Il Maracanazo, la partita più famosa della storia del calcio

La più grande disfatta sportiva della storia del calcio: il Maracanazo.
Il 16 luglio 1950 è il giorno dello sconforto di un intero popolo, un popolo per il quale il calcio rappresenta forse qualcosa più di una religione. Il 16 luglio del 1950 il Brasile sprofonda nella disperazione. Ad abbattere lo spirito di un intero popolo ci ha pensato una partita di calcio. Anzi un solo gol, un solo giocatore: Alcides Ghiggia.
Il 1950 è l’anno del mondiale in Brasile. Si riprende dopo la pausa per la seconda guerra mondiale. Germania e Giappone non vengono invitati, perché paesi aggressori. L’Italia invece sì, ma la nostra presenza vale davvero poco. Andiamo in nave (insieme ai turisti), ancora sotto shock per la strage di Superga, allenati dal presidente del Torino, Novo, e un giornalista, Barrese. Leggenda narra che i palloni già fossero finiti prima di lasciare il Mediterraneo. Un mesto mondiale, abbandonato in gran fretta.

Il mondiale torna in Sudamerica grazie a Getúlio Vargas (comunque deposto nel 1945), intenzionato a cementare lo spirito di un intero popolo anche grazie all’amore e alla passione per questo sport. Si sarebbe dovuto tenere nel 1949, ma il Brasile ottenne la proroga di un anno per terminare la costruzione del Maracanà, un impianto sontuoso da oltre 100 mila posti.

I favori del pronostico sono ovviamente tutti per i padroni di casa, anche se i verdeoro faticano un pochino nel girone eliminatorio: vittoria con il Messico, pareggio con la Svizzera e vittoria un po’ sofferta con la Jugoslavia. Qualificazione comunque mai in discussione e grande fiducia per la seconda fase a gironi.
La formula del mondiale non prevede scontri ad eliminazione diretta, ma bensì la formazione di un secondo girone, con i vincenti dei 4 gironi eliminatori. E le quattro squadre qualificate sono Brasile, Svezia, Spagna e Uruguay.

Nelle prime due giornate il Brasile asfalta Svezia (7-1) e Spagna (6-1). Punteggio pieno ed entusiasmo alle stelle. Nell’ultima giornata c’è però l’Uruguay, che ha totalizzato 3 punti nel girone, solo uno in meno dei padroni di casa. Certo che per laurearsi campioni, ai verdeoro basta comunque un pareggio.

Alle 15 del 16 luglio 1950, davanti a qualcosa come 200 mila persone, si sfidano per la conquista della Coppa Rimet Brasile ed Uruguay. Un intero popolo spinge i padroni di casa alla vittoria finale. Una fiducia estrema, un’euforia incontrollabile invade le strade di Rio. Qualcosa più di semplice convinzione nei propri mezzi, quanto piuttosto una certezza di vittoria, dettata dalla sensazione di avere il fato dalla propria parte.

E invece…

Il Brasile, come ovvio, attacca. Ma ogni volta che l’Uruguay avanza si fa pericoloso e coglie persino un palo. All’inizio del secondo tempo i padroni di casa vanno però in vantaggio. Gol in sospetto fuorigioco di Friaça (con il guardalinee che avrebbe addirittura sbandierato, per poi abbassare subito il braccio) e 1-0. Il pubblico esulta, la vittoria sembra certa e tifosi e giocatori spingono per il 2-0. Ma invece di chiudere la partita, il Brasile prende il gol di Schiaffino.
Con il pareggio i verdeoro sarebbero ancora campioni. Ma quella partita va vinta, per il pubblico e per tutto il popolo. E, come da migliore tradizione, la squadra che attacca è quella che prende il gol. L’Uruguay, in contropiede, segna il gol del 2-1 con Ghiggia al 79‘. Gli ultimi minuti non bastano al Brasile per raggiungere il pareggio. La Celeste è così di nuovo campione del mondo.

Per essere “soltanto” un evento sportivo, il Maracanzao ha avuto un impatto devastante sulla vita del Brasile. Un intero popolo gettato nello sconforto dall’esito di una semplice partita di calcio. In quel periodo il Brasile registra addirittura il più alto tasso di suicidi della sua storia.

Un capitolo a parte meriterebbe poi la storia del povero Barbosa, portiere del Brasile reo di non aver parato il tiro decisivo di Ghiggia. Una carriera di grande prestigio come portiere titolare del Vasco e della nazionale, arricchita di trofei nazionali ed internazionali. Eppure visse il resto della sua vita da capro espiatorio, nel disprezzo di un intero popolo:

“In Brasile la pena massima è di trent’anni, ma io sto pagandone più di quaranta per un crimine mai commesso!” (Moacir Barbosa Nascimento).