Il centromediano metodista

Capita ancora a volte di sentirlo: centromediano metodista. Durante una telecronaca o in una discussione al bar. O di leggerlo su un articolo di giornale. O ancora su Football Manager. Il significato del polinomio in oggetto varia a seconda di chi lo utilizza e delle circostanze. Tirato in ballo per definire questo o quell’altro calciatore.

Ma l’utilizzo nel suo concetto più puro rimane probabilmente appannaggio di chi ha già più di qualche primavera alle spalle. Dato che il ruolo del centromediano metodista è figlio dell’antico schema tattico denominato, per l’appunto, metodo.

Ma che cos’è il metodo?

Agli albori della tattica, le squadre di calcio usavano disporsi in campo secondo uno schema denominato “Piramide di Cambridge“, dal nome del noto college dove nacque. Prima di questo 2-3-5 la tattica più diffusa era il classico “palla lunga e pedalare”. Una disposizione un po’ più ordinata in campo e l’identificazioni di ruoli e mansioni per ogni singolo giocatore, segnarono poi lo sviluppo del gioco corale alla base del calcio moderno.

Ma è con il cambio della regola del fuorigioco a metà degli anni ’20 (i giocatori che tenevano in gioco l’attaccante passarono da 3 a 2), che avviene la vera rivoluzione. La piramide lascia spazio a due filosofie tattiche contrapposte: metodo e sistema. La prima grande discussione tattica nel mondo del calcio.

Rappresentazione grafica del sistema
Il sistema

Il “sistema”, di scuola inglese, proponeva una sorta di 3-4-3 in cui a 5 giocatori (3+2) veniva in sostanza affidato il compito di difendere e agli altri 5 (2+3) quello di attaccare. Le ali dovevano però sapersi destreggiare su entrambi i fronti.

In un certo senso era un’evoluzione del “metodo” all’italiana (di cui parleremo a breve) e trovò terreno fertile in Inghilterra. In Italia ci mise un po’ a carburare e la prima squadra ad ottenere successi con il modulo Chapman (dal nome dell’allenatore dell’Arsenal che lo introdusse) fu il Grande Torino a partire dalla stagione 1941-1942. Prima del Torino era stato già provato da altre squadre di Serie A, ma con modesti risultati.

In realtà mancarono confronti diretti sul campo tra queste due tattiche. Gli inglesi infatti non parteciparono alle edizioni mondiali in cui trionfò l’Italia. Poi ci fu la guerra. E in sostanza metodo e sistema convissero felicemente senza quasi mai affrontarsi direttamente.

Ma il ritorno alle competizioni internazionali e i successi del Grande Torino, affossarono il metodo, che gradualmente si eclissò all’ombra del sistema.

Rappresentazione grafica del metodo
Il metodo

Come detto, il “metodo” fu lo schema maggiormente in voga in Italia. D’altronde era lo schema vincente dell’Italia di Pozzo, che si aggiudicò due mondiali e un’olimpiade. Veniva adottato in tutta la penisola, a scapito del sistema, che invece era considerato dallo stesso Pozzo troppo dispendioso dal punto vista fisico e poco adatto alle caratteristiche dei giocatori italiani. Proponeva  un 4-3-3 che era in realtà più un 2-3-2-3. Due difensori centrali, di cui uno marcatore e l’altro “libero”. Prendevano il nome di “terzini”, perché occupavano la terza linea. Due mediani con compiti difensivi, ma comunque a supporto del centrocampo. Due mezzali offensive sulla linea di centrocampo. Un centravanti e due ali. In mezzo a tutta questa baraonda di ali e mezzali, il centromediano metodista. Regista di centrocampo che imposta la manovra e libero avanzato a presidio della linea difensiva. Grande visione di gioco e doti atletiche straordinarie.

Quindi per definirne il concetto bisogna prima di tutto improntare la discussione sulla tattica. Ma questo non vuol essere un post sulla tattica. Questa vuol essere solo una piccola spiegazione di un termine tanto vetusto quanto accattivante, tanto desueto quanto moderno.