La partita del secolo: Italia – Germania 4-3

È stata ribattezzata “la partita del secolo“. A ricordarlo c’è anche una targa all’ingresso delle stadio Azteca. Per noi italiani, il racconto di quel match ha toni epici, come fosse stata una guerra, vinta con il sangue dell’ultimo soldato, al grido patriottico di “Italia!”. D’altronde lo diceva anche Sir Winston Churchill: “Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre“.

Per il resto del mondo, pur assumendo toni meno epici, la storica Italia – Germania del 1970 ha rappresentato il “calcio” in tutta la sua bellezza (eccetto forse in Germania).

Quel che avvenne in quel pomeriggio messicano del 17 giugno del 1970 è storia nota. Allo stadio Azteca di Città del Messico si fronteggiano Italia e Germania. In palio c’è l’accesso alla finale mondiale. L’Italia è reduce da un girone eliminatorio non proprio entusiasmante (vittoria contro la Svezia e due pareggi a reti inviolate contro Uruguay ed Israele), ma ha anche eliminato abbastanza agevolmente i padroni di casa battendoli 4-1. La Germania invece, ha umiliato gli inglesi, andando a vincere una partita che stavano perdendo 2-0 a venti minuti dalla fine. Tra le due, se una favorita c’è, è la Germania.

 

L’Italia si presenta in campo con Mazzola titolare e Rivera in panchina. La nazionale di Valcareggi è infatti ricordata anche per la celebre “staffetta” tra il nerazzuro e il rossonero. Una volta gioca dall’inizio l’uno e gli subentra l’altro, un’altra volta i ruoli si invertono. Anche ai giorni nostri il termine “staffetta” viene sfoderato da giornalisti e aspiranti c.t., ogni qual volta si presenta una condizione di “dualismo” (anche questo termine piuttosto abusato) all’interno di una squadra, che praticamente impedisce a due giocatori dalle caratteristiche tecniche simili, di scendere in campo simultaneamente. Fatto sta, che all’epoca il termine descriveva con lucidità il reale stato in essere delle cose: i due insieme non giocavano mai.

 

Ad assistere alla partita ci sono 102.444 spettatori. In Messico sono le 18.00. In Italia è mezzanotte, ma per una volta i ragazzi possono tirare tardi. Davanti agli schermi un popolo intero spinge gli azzurri verso una storica finale. Al calcio d’inizio, tutti quanti sono convinti di assistere ad una partita di calcio. Al fischio finale, sono tutti convinti di essere stati testimoni eletti di un evento storico.
Come detto, quello che è successo lo sanno tutti, ma fa bene raccontarlo (specie sapendo come sia andato a finire). Boninsegna che segna dopo soli 8 minuti. Il resto della partita giocato in difesa, a difenderci dagli attacchi dei panzer tedeschi. Finché sul più bello, all’ultimo respiro, arriva il gol di Schnellinger, uno che la porta avversaria l’ha sempre vista solo col binocolo. 1-1 e tempi supplementari. Con Martellini, che impreca contro l’arbitro per l’eccessivo recupero: Questo Yamasaki! Due minuti e mezzo dopo la fine del tempo regolamentare. In Italia si fanno le 2. Ma quella che è una partita di calcio, sta assumendo ben altri contorni.

 

Pronti via e dopo 4 minuti segna Müller, uno da cui il gol te lo puoi anche aspettare. Quello che non t’aspetti succede poco dopo nell’altra area: l’Italia pareggia con Burgnich, un altro che di gol ne ha fatti davvero pochi (quello fu il secondo e ultimo in maglia azzurra). E poi, il vantaggio azzurro, con Rombo di Tuono Gigi Riva. Incredibile ma vero, l’Italia inizia il secondo tempo supplementare con un piede già in finale.

 

La Germania è allo stremo, così come gli azzurri. Beckenbauer, che si è lussato una spalla in uno scontro di gioco, rimane stoicamente in campo con il braccio fasciato. Un’altra immagine che la “partita del secolo” regala ai posteri. Al quinto minuto del secondo tempo supplementare la Germania pareggia. Sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Müller (ancora lui) insacca di testa tra il palo e l’uomo a protezione del palo. E quell’uomo è Gianni Rivera, subentrato tra il primo e secondo tempo a… Mazzola. E pensare che sul palo non ci sarebbe nemmeno dovuto essere lui, ma dopo quasi 120 minuti certi schemi vengono meno e di necessità bisogna far virtù. Albertosi, mentre raccoglie la palla in fondo alla rete, vomita insulti nei confronti dell’Abatino, colpevole a suo dire di aver lasciato entrare il pallone. Di quanto si fosse sentito colpevole Rivera per quel gol (che poi, tanto colpevole neanche era), lo testimonia il modo in cui si appiglia al palo a testa china, come un cane bastonato

 

Palla al centro e tutto da rifare. Mancano una manciata di minuti alla monetina (i rigori non c’erano all’epoca). Pronti via, una serie di passaggi, Boninsegna che scatta sulla fascia, palla al centro e… Rivera! Tutto solo, piattone ad incrociare e 4-3. Dalle registrazioni d’epoca si sente una voce levarsi a bordo campo: vinciamo! E così è. L’Italia vince e va in finale.

 

Un evento storico, che è anche ricordo collettivo di un popolo. Un popolo che non ha molto di che gioire. Il boom è passato, le prime bombe hanno insanguinato le strade, le divisioni politiche generano tensioni che sfociano in vere guerre civili. Ma quella sera ci si dimentica di tutto. Quella sera l’Italia è allo stadio Azteca. E quella sera l’Italia è Rivera. L’Italia è Riva e Boninsegna. L’Italia è Albertosi, Burgnich, Facchetti, Rosato, Cera, Bertini. L’Italia è Domenghini e De Sisti. L’Italia è Poletti. L’Italia è Valcareggi. E l’Italia è anche Mazzola.
E la finale? Ah sì, quella l’abbiamo persa 4-1, contro uno straripante Brasile. Troppo forti loro, troppo stanchi noi. Ma la finale è solo statistica, storia, numeri. Italia – Germania è leggenda.